L. 11 maggio 1990, n. 108
Disciplina
dei licenziamenti individuali
Art. 1. Reintegrazione.
1. I primi due
commi dell'art. 18 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, sono sostituiti
dai seguenti:
"Ferme restando
l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con
cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della
predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o
giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa,
ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna
sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di
lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il
lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai
datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso
comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel
medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali
limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore,
che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini
del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene
conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei
lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di
orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo
delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione
collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di
lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei
limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che
prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la
sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata
l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva
reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere
inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al
risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di
lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di
retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal
ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né
abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della
sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di
lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti".
Art. 2. Riassunzione o risarcimento del danno
1. I datori di
lavoro privati, imprenditori non agricoli e non imprenditori, e gli enti
pubblici di cui all'articolo 1 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, che occupano
alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori ed i datori di lavoro
imprenditori agricoli che occupano alle loro dipendenze fino a cinque
lavoratori computati con il criterio di cui all'articolo 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300,
come modificato dall'articolo 1 della presente legge, sono soggetti
all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio
1966, n. 604, così come modificata dalla
presente legge. Sono altresì soggetti all'applicazione di dette disposizioni i
datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti, qualora non sia
applicabile il disposto dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge.
2. L'articolo 2 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal
seguente:
"Il datore
di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento
al prestatore di lavoro.Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici
giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal
caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli
per iscritto.
Il licenziamento
intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è
inefficace.
Le disposizioni
di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai
dirigenti".
3. L'articolo 8 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito
dal seguente:
"Quando
risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta
causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il
prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire
il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed
un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto
riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa,
all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle
condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità pur essere
maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità
superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con
anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa
più di quindici prestatori di lavoro".
Art. 3. Licenziamento discriminatorio
1. Il
licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell'articolo 4 della
legge 15 luglio 1966, n. 604 e dell'articolo 15
della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall'articolo 13
della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo
indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero
dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'articolo 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dalla presente legge. Tali disposizioni si applicano anche ai
dirigenti.
Art. 4. Area di non applicazione
1. Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 3, le disposizioni degli articoli 1 e 2 non trovano applicazione
nei rapporti disciplinati dalla legge 2 aprile
1958, n. 339. La disciplina di cui all'articolo 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato
dall'articolo 1 della presente legge, non trova applicazione nei confronti dei
datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di
natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di
culto.
2. Le
disposizioni di cui all'articolo 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall'articolo 1 della presente legge, e del l'articolo 2 non si
applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso
dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione
del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 22 dicembre
1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26
febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni
dell'articolo 3 della presente legge e dell'articolo 9 della
legge 15 luglio 1966, n. 604.
Art. 5. Tentativo obbligatorio di conciliazione, arbitrato e
spese processuali
1. La domanda in
giudizio di cui all'articolo 2 della presente legge non può essere proposta se
non è preceduta dalla richiesta di conciliazione avanzata secondo le procedure
previste dai contratti e accordi collettivi di lavoro, ovvero dagli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile.
2.
L'improcedibilità della domanda è rilevabile anche d'ufficio nella prima
udienza di discussione.
3. Ove il giudice
rilevi l'improcedibilità della domanda a norrna del comma 2 sospende il
giudizio e fissa alle parti un termine perentorio non superiore a sessanta
giorni per la proposizione della richiesta del tentativo di conciliazione.
4. Il processo deve essere
riassunto a cura di una delle parti nel termine perentorio di centottanta
giorni, che decorre dalla cessazione della causa di sospensione.
5. La
comunicazione al datore di lavoro della richiesta di espletamento della
procedura obbligatoria di conciliazione avvenuta nel termine di cui all'articolo 6 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, impedisce la
decadenza sancita nella medesima norma.
6. Ove il
tentativo di conciliazione fallisca, ciascuna delle parti entro il termine di
venti giorni può promuovere, anche attraverso l'associazione sindacale a cui è
iscritta o conferisca mandato, il deferimento della controversia al collegio di
arbitrato previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile o,
in mancanza, ad un collegio composto da un rappresentante scelto da ciascuna
parte e da un presidente scelto di comune accordo o, in difetto, dal direttore
dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Il collegio si
pronuncia entro trenta giorni e la sua decisione acquista efficacia di titolo
esecutivo osservate le disposizioni dell'articolo 411 del codice di procedura civile.
7. Il
comportamento complessivo delle parti viene valutato dal giudice per
l'applicazione degli articoli 91,
92, 96 del codice di procedura civile.
Art. 6. Abrogazioni
1. Nel primo
comma dell'articolo 35
della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono
soppresse le parole "dell'articolo 18 e".
2. Il primo comma
dell'articolo 11
della legge 15 luglio 1966, n. 604, è
abrogato.