Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198
"Codice
delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge
28 novembre 2005, n. 246"
pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2006 - Supplemento Ordinario n.
133
IL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'articolo 87 della Costituzione;
Visto l'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante
delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per il riassetto
delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunità tra uomo e donna,
nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti
per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul
sesso, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie
per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine
di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
Vista la
preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione
dei 24 gennaio 2006;
Udito il
parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti
normativi nella riunione del 27 febbraio 2006;
Acquisito
il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Considerato
che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica non hanno espresso nei termini di legge il prescritto parere;
Vista la
deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6
aprile 2006;
Sulla
proposta del Ministro per le pari opportunità, di concerto con i Ministri per
la funzione pubblica, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e
delle attività produttive;
E m a n a
il
seguente decreto legislativo:
LIBRO I
DISPOSIZIONI
PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA
TITOLO
I
DISPOSIZIONI
GENERALI
Art.
1.
Divieto
di discriminazione tra uomo e donna
(legge 14 marzo 1985, n. 132, articolo 1)
1. Le
disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad
eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che
abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il
riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in
ogni altro campo.
TITOLO
II
ORGANIZZAZIONE
PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
Capo I
POLITICHE
DI PARI OPPORTUNITÀ
Art.
2.
Promozione
e coordinamento delle politiche di pari opportunità
(decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)
1. Spetta
al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di
Governo volte ad assicurare pari opportunità, a prevenire e rimuovere le
discriminazioni, nonché a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il
monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.
Capo II
COMMISSIONE
PER LE PARI OPPORTUNITÀ FRA UOMO E DONNA
Art.
3.
Commissione
per le pari opportunità fra uomo e donna
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 1)
1. La
Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, istituita presso il
Dipartimento per le pari opportunità, fornisce al Ministro per le pari
opportunità, che la presiede, consulenza e supporto tecnico-scientifico
nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di pari opportunità fra
uomo e donna, sui provvedimenti di competenza dello Stato, ad esclusione di
quelli riferiti alla materia della parità fra i sessi nell'accesso al lavoro
e sul lavoro; in particolare la Commissione:
a)
formula proposte al Ministro per l'elaborazione delle modifiche della
normativa statale necessarie a rimuovere qualsiasi forma di discriminazione,
sia diretta che indiretta, nei confronti delle donne ed a conformare
l'ordinamento giuridico al principio di pari opportunità fra uomo e donna,
fornendo elementi informativi, documentali, tecnici e statistici, utili ai fini
della predisposizione degli atti normativi;
b) cura
la raccolta, l'analisi e l'elaborazione di dati allo scopo di verificare lo
stato di attuazione delle politiche di pari opportunità nei vari settori
della vita politica, economica e sociale e di segnalare le iniziative
opportune;
c) redige
un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche
di pari opportunità;
d)
fornisce consulenza tecnica e scientifica in relazione a specifiche
problematiche su richiesta del Ministro o del Dipartimento per le pari
opportunità;
e) svolge
attività di studio e di ricerca in materia di pari opportunità fra uomo e
donna.
Art. 4.
Durata e
composizione della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2)
1. La
Commissione è nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni.
Essa è composta da venticinque componenti di cui:
a) undici
prescelti nell'ambito delle associazioni e dei movimenti delle donne
maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;
b)
quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c)
quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della
cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
d) tre
prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte, per
riconoscimenti e titoli, in attività scientifiche, letterarie e sociali;
e) tre
rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Almeno
due volte l'anno, la Commissione si riunisce a composizione allargata, con la
partecipazione di un rappresentante di pari opportunità per ogni regione e
provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste e
segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell'ambito delle competenze
del sistema delle regioni e delle autonomie locali.
Art. 5.
Ufficio
di Presidenza della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3)
1.
Con il decreto di cui all'articolo 4, comma 1, fra i componenti della
Commissione vengono designati il Vicepresidente ed il Segretario che, insieme
al Ministro, che lo presiede, costituiscono l'ufficio di presidenza.
2. Al
Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento
dei lavori e la costante informazione del Ministro circa le iniziative in
corso di svolgimento.
Art. 6.
Esperti
e consulenti
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4)
1. La
Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in numero
massimo di cinque, su problematiche attinenti la parità fra i sessi, e di
propri consulenti secondo quanto previsto dall'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dall'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
2. I
consulenti di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee alla
pubblica amministrazione, dotate di elevata professionalità nelle materie
giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, delle
politiche sociali e dell'analisi delle politiche pubbliche.
3. Nel
decreto di conferimento dell'incarico è determinato il compenso degli esperti
e dei consulenti.
Art.
7.
Segreteria
della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5)
1.
Per l'espletamento delle proprie attività la Commissione dispone di una
propria segreteria nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunità.
Capo III
COMITATO
NAZIONALE PER L'ATTUAZIONE DEI PRINCIPI DI PARITÀ DI TRATTAMENTO ED
UGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ TRA LAVORATORI E LAVORATRICI
Art. 8.
Costituzione
e componenti
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)
1. Il
Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della
competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e
di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza fra uomo e donna
nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di
carriera.
2. Il
Comitato è composto da:
a) il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un
Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
b) cinque
componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c) cinque
componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei
diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
d) un
componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza,
assistenza e tutela del movimento cooperativo più rappresentative sul piano
nazionale;
e) undici
componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più
rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle
pari opportunità nel lavoro;
f) la
consigliera o il consigliere nazionale di parità di cui all'articolo 12,
comma 2, del presente decreto.
3.
Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
a) sei
esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in
materia di lavoro;
b) cinque
rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri dell'istruzione, dell'università
e della ricerca, della giustizia, degli affari esteri, delle attività
produttive, del Dipartimento per la funzione pubblica;
c) cinque
dirigenti dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali in
rappresentanza delle Direzioni generali del mercato del lavoro, della tutela
delle condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali, per le politiche
per l'orientamento e la formazione e per l'innovazione tecnologica.
4. I
componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro
del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo è
nominato un supplente.
5. Il
vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e delle
politiche sociali nell'ambito dei suoi componenti.
Art. 9.
Convocazione
e funzionamento
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)
1.
Il Comitato è convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta metà più uno dei suoi
componenti.
2. Il
Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello del collegio
istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo 11, nonché in
ordine alle relative spese.
Art. 10.
Compiti
del Comitato
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 6)
1. Il
Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell'ambito delle competenze statali,
per il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 8, comma 1, ed in
particolare:
a)
formula proposte sulle questioni generali relative all'attuazione degli
obiettivi della parità e delle pari opportunità, nonché per lo sviluppo e il
perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle
condizioni di lavoro delle donne;
b)
informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessità di promuovere le
pari opportunità per le donne nella formazione e nella vita lavorativa;
c)
formula, entro il 31 maggio di ogni anno, un programma-obiettivo nel quale
vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende
promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di
valutazione. Il programma è diffuso dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
d)
esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di azioni
positive e opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la
corretta attuazione e l'esito finale;
e)
elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta
conformi alla parità e ad individuare le manifestazioni anche indirette delle
discriminazioni;
f)
verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di
parità;
g)
propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli
interessati all'adozione di progetti di azioni positive per la rimozione
delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione
di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione
e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive,
stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entità del
cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;
h)
può richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i
luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della
promozione professionale;
i)
promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici
nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione
professionale.
Art. 11.
Collegio
istruttorio e segreteria tecnica
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7)
1. Per
l'istruzione degli atti relativi alla individuazione e alla rimozione delle
discriminazioni e per la redazione dei pareri al Comitato di cui all'articolo
8 e alle consigliere e ai consiglieri di parità, è istituito un collegio
istruttorio così composto:
a) il
vicepresidente del Comitato di cui all'articolo 8, che lo presiede;
b) un
magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle
sezioni lavoro, di legittimità o di merito;
c) un
dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
d) gli
esperti di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a);
e) la
consigliera o il consigliere di parità di cui all'articolo 12.
2. Ove si
renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere
b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui all'articolo 8, possono
essere elevati a due.
3. Al
fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del
Comitato e del collegio istruttorio è istituita la segreteria tecnica. Essa
ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed è
composta da personale proveniente dalle varie direzioni generali del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinato da un dirigente
generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica è
determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
sentito il Comitato.
4. Il
Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalità
di organizzazione e di funzionamento; per lo svolgimento dei loro compiti
possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato può deliberare la
stipula di convenzioni, nonché avvalersi di collaborazioni esterne:
a) per
l'effettuazione di studi e ricerche;
b) per
attività funzionali all'esercizio dei propri compiti in materia di progetti
di azioni positive previsti dall'articolo 10, comma 1, lettera d).
Capo IV
CONSIGLIERE
E CONSIGLIERI DI PARITÀ
Art. 12.
Nomina
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1; articolo 2, commi 1,
3, 4)
1. A
livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera o un
consigliere di parità. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresì
alla nomina di un supplente.
2. La
consigliera o il consigliere nazionale di parità, effettivo e supplente, sono
nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro per le pari opportunità.
3. Le
consigliere ed i consiglieri di parità regionali e provinciali, effettivi e
supplenti, sono nominati, con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, su
designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni
rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno
per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui
all'articolo 13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.
4. In
caso di mancata designazione dei consiglieri di parità regionali e
provinciali entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato, o
di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo
13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro per le pari opportunità, provvede direttamente alla nomina
nei trenta giorni successivi, nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo
13, comma 1. A parità di requisiti professionali si procede alla designazione
e nomina di una consigliera di parità.
5. I
decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum
professionale della persona nominata, sono pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale.
Art. 13.
Requisiti
e attribuzioni
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2, comma 2)
1. Le
consigliere e i consiglieri di parità devono possedere requisiti di specifica
competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di
normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro,
comprovati da idonea documentazione.
2. Le
consigliere ed i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, svolgono
funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di
uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel
lavoro. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i
consiglieri di parità sono pubblici ufficiali ed hanno l'obbligo di
segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza
per ragione del loro ufficio.
Art. 14.
Mandato
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 2, comma 5)
1.
Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all'articolo 12 ha la
durata di quattro anni ed è rinnovabile una sola volta. La procedura di
rinnovo si svolge secondo le modalità previste dall'articolo 12. Le
consigliere ed i consiglieri di parità continuano a svolgere le loro funzioni
fino alle nuove nomine.
Art. 15.
Compiti e
funzioni
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 3)
1. Le
consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa,
nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio
di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori
e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
a)
rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le
funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni previste dal
libro III, titolo I;
b)
promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione
delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;
c)
promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo
territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in
materia di pari opportunità;
d)
sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto
il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunità;
e)
promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei
soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
f)
collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di
individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa
in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni,
anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
g)
diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e
sulle varie forme di discriminazioni;
h)
verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive
previsti dagli articoli da 42 a 46;
i)
collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali
e con organismi di parità degli enti locali.
2. Le
consigliere ed i consiglieri di parità nazionale, regionali e provinciali,
effettivi e supplenti, sono componenti a tutti gli effetti, rispettivamente,
della commissione centrale per l'impiego ovvero del diverso organismo che ne
venga a svolgere, in tutto o in parte, le funzioni a seguito del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e delle commissioni regionali e
provinciali tripartite previste dagli articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del 1997; essi
partecipano altresì ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di
sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, del Consiglio del 21
giugno 1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali sono
inoltre componenti delle commissioni di parità del corrispondente livello
territoriale, ovvero di organismi diversamente denominati che svolgono
funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale è componente del
Comitato nazionale e del Collegio istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.
3. Le
strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 dicembre
1997, n. 469, forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di
parità il supporto tecnico necessario: alla rilevazione di situazioni di
squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla
situazione del personale di cui all'articolo 46; alla promozione e alla
realizzazione di piani di formazione e riqualificazione professionale; alla
promozione di progetti di azioni positive.
4. Su
richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni
regionali e provinciali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono
nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e
promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro,
della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche
in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.
5. Entro
il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parità
regionali e provinciali presentano un rapporto sull'attività svolta agli
organi che hanno provveduto alla designazione. La consigliera o il
consigliere di parità che non abbia provveduto alla presentazione del
rapporto o vi abbia provveduto con un ritardo superiore a tre mesi decade
dall'ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che ha
provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità.
Art.
16.
Sede e
attrezzature
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 5)
1.
L'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e
provinciali è ubicato rispettivamente presso le regioni e presso le province.
L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parità è ubicato
presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio è
funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle
strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la
strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso
cui l'ufficio è ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
2.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
per le pari opportunità, nell'ambito delle proprie competenze, può
predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere
ed i consiglieri di parità convenzioni quadro allo scopo di definire le
modalità di organizzazione e di funzionamento dell'ufficio delle consigliere
e dei consiglieri di parità, nonché gli indirizzi generali per l'espletamento
dei compiti di cui all'articolo 15, comma 1, lettere b), c), d) ed e), come
stipulato con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Art. 17.
Permessi
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 6)
1. Le
consigliere ed i consiglieri di parità, nazionale e regionali hanno diritto
per l'esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di lavoratori dipendenti,
ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative
mensili medie. Nella medesima ipotesi le consigliere ed i consiglieri
provinciali di parità hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per un
massimo di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente
comma sono retribuiti.
2. Le
consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parità hanno altresì
diritto, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad ulteriori permessi non
retribuiti per i quali viene corrisposta un'indennità. La misura massima dei
permessi e l'importo dell'indennità sono stabiliti annualmente dal decreto di
cui all'articolo 18, comma 2. Ai fini dell'esercizio del diritto di
assentarsi dal luogo di lavoro di cui al comma 1 ed al presente comma, le
consigliere ed i consiglieri di parità devono darne comunicazione scritta al
datore di lavoro almeno un giorno prima.
3.
L'onere di rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle
consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali, lavoratori
dipendenti da privati o da amministrazioni pubbliche, è a carico
rispettivamente dell'ente regionale e provinciale. A tal fine si impiegano
risorse provenienti dal Fondo di cui all'articolo 18. L'ente regionale o
provinciale, su richiesta, è tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto
corrisposto per le ore di effettiva assenza.
4. Le
consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parità, lavoratori
autonomi o liberi professionisti, hanno diritto per l'esercizio delle loro
funzioni ad un'indennità rapportata al numero complessivo delle ore di
effettiva attività, entro un limite massimo determinato annualmente dal
decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
5. La
consigliera o il consigliere nazionale di parità, ove lavoratore dipendente,
usufruisce di un numero massimo di permessi non retribuiti determinato
annualmente con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2, nonché di
un'indennità fissata dallo stesso decreto. In alternativa può richiedere il
collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato,
percependo in tal caso un'indennità complessiva, a carico del Fondo di cui
all'articolo 18, determinata tenendo conto dell'esigenza di ristoro della
retribuzione perduta e di compenso dell'attività svolta. Ove l'ufficio di
consigliera o consigliere nazionale di parità sia ricoperto da un lavoratore
autonomo o da un libero professionista, spetta al medesimo un'indennità nella
misura complessiva annua determinata dal decreto di cui all'articolo 18,
comma 2.
Art. 18.
Fondo per
l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 9)
1.
Il Fondo nazionale per le attività delle consigliere e dei consiglieri di
parità è alimentato dalle risorse di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144,
e successive modificazioni. Il Fondo è destinato a finanziare le spese
relative alle attività della consigliera o del consigliere nazionale di
parità e delle consigliere o dei consiglieri regionali e provinciali di
parità, i compensi degli esperti eventualmente nominati ai sensi
dell'articolo 19, comma 3, nonché le spese relative alle azioni in giudizio
promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia
altresì le spese relative al pagamento di compensi per indennità, rimborsi e
remunerazione dei permessi spettanti alle consigliere ed ai consiglieri di
parità, nonché quelle per il funzionamento e le attività della rete di cui
all'articolo 19 e per gli eventuali oneri derivanti dalle convenzioni di cui
all'articolo 16, comma 2, diversi da quelli relativi al personale.
2. Con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro per le pari opportunità, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le
risorse del Fondo vengono annualmente ripartite tra le diverse destinazioni,
sulla base dei seguenti criteri:
a) una
quota pari al trenta per cento è riservata all'ufficio della consigliera o
del consigliere nazionale di parità ed è destinata a finanziare, oltre alle
spese relative alle attività ed ai compensi dello stesso, le spese relative
al funzionamento ed ai programmi di attività della rete delle consigliere e
dei consiglieri di parità di cui all'articolo 19;
b) la
restante quota del settanta per cento è destinata alle regioni e viene
suddivisa tra le stesse sulla base di una proposta di riparto elaborata dalla
commissione interministeriale di cui al comma 4.
3.
La ripartizione delle risorse è comunque effettuata in base a parametri
oggettivi, che tengono conto del numero delle consigliere o dei consiglieri
provinciali e di indicatori che considerano i differenziali demografici ed
occupazionali, di genere e territoriali, nonché in base alla capacità di
spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.
4. Presso
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la commissione
interministeriale per la gestione del Fondo di cui al comma 1. La commissione
è composta dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità o da un
delegato scelto all'interno della rete di cui all'articolo 19, dal
vicepresidente del Comitato nazionale di cui all'articolo 8, da un
rappresentante della Direzione generale del mercato del lavoro, da tre
rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, da un rappresentante del Ministero dell'economia e
delle finanze, da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché da tre rappresentanti
della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Essa
provvede alla proposta di riparto tra le regioni della quota di risorse del
Fondo ad esse assegnata, nonché all'approvazione dei progetti e dei programmi
della rete di cui all'articolo 19. L'attività della commissione non comporta
oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
5. Per la
gestione del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le
norme che disciplinano il Fondo per l'occupazione.
Art. 19.
Rete nazionale
delle consigliere e dei consiglieri di parità
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, commi 1, 2, 3, 4 e 5)
1. La
rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, coordinata
dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità, opera al fine di
rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parità, di
accrescere l'efficacia della loro azione, di consentire lo scambio di
informazioni, esperienze e buone prassi.
2. La
rete nazionale si riunisce almeno due volte l'anno su convocazione e sotto la
presidenza della consigliera o del consigliere nazionale; alle riunioni
partecipano il vice presidente del Comitato nazionale di parità di cui
all'articolo 8, e un rappresentante designato dal Ministro per le pari
opportunità.
3. Per
l'espletamento dei propri compiti la rete nazionale può avvalersi, oltre che
del Collegio istruttorio di cui all'articolo 11, anche di esperte o esperti,
nei settori di competenza delle consigliere e dei consiglieri di parità, di particolare
e comprovata qualificazione professionale. L'incarico di esperta o esperto
viene conferito su indicazione della consigliera o del consigliere nazionale
di parità dalla competente Direzione generale del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
4.
L'entità delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e
all'espletamento dei relativi compiti, è determinata con il decreto di cui
all'articolo 18, comma 2.
5. Entro
il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parità
elabora, anche sulla base dei rapporti di cui all'articolo 15, comma 5, un
rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per
le pari opportunità sulla propria attività e su quella svolta dalla rete
nazionale. Si applica quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 5
dell'articolo 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.
Art. 20.
Relazione
al Parlamento
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, comma 6)
1. Il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base del rapporto
di cui all'articolo 19, comma 5, nonché delle indicazioni fornite dal
Comitato nazionale di parità, presenta in Parlamento, almeno ogni due anni,
d'intesa con il Ministro per le pari opportunità, una relazione contenente i
risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di
parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle
disposizioni del presente decreto.
Capo V
COMITATO
PER L'IMPRENDITORIA FEMMINILE
Art. 21.
Comitato
per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3)
1. Presso
il Ministero delle attività produttive opera il Comitato per l'imprenditoria
femminile composto dal Ministro delle attività produttive o, per sua delega,
da un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente, dal Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle politiche agricole e
forestali, dal Ministro dell'economia e delle finanze, o da loro delegati; da
una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per
ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale
della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell'artigianato,
dell'agricoltura, del turismo e dei servizi.
2. I
membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro delle attività
produttive, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, e restano
in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il
Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per
l'adempimento delle proprie funzioni esso si avvale dei personale e delle
strutture messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.
Art. 22.
Attività
del Comitato per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4 e 5)
1. Il
Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli
interventi previsti dal libro III, titolo II; promuove altresì lo studio, la
ricerca e l'informazione sull'imprenditorialità femminile.
2. Per le
finalità di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli opportuni
collegamenti con il Servizio centrale per la piccola industria e
l'artigianato di cui all'articolo 39, comma 1, lettera a), della legge 5
ottobre 1991, n. 317, e si avvale di consulenti, individuati tra persone
aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di
imprenditoria femminile.
LIBRO II
PARI
OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI
TITOLO I
RAPPORTI
TRA CONIUGI
Art. 23.
Pari opportunità
nei rapporti fra coniugi
1. La
materia delle pari opportunità nei rapporti familiari è disciplinata dal
codice civile.
TITOLO
II
CONTRASTO
ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI
Art. 24.
Violenza
nelle relazioni familiari
1. Per il
contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le
disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.
LIBRO III
PARI
OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI
TITOLO I
PARI
OPPORTUNITÀ NEL LAVORO
Capo I
NOZIONI
DI DISCRIMINAZIONE
Art. 25.
Discriminazione
diretta e indiretta
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)
1.
Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi
atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole
discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e,
comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra
lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
2.
Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una
disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento
apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un
determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a
lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo
svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi
impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Art. 26.
Molestie
e molestie sessuali
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)
1. Sono
considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti
indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo
o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di
creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono,
altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei
comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica,
verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di
una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante o offensivo.
3. Gli
atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei
lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e
2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai
comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei
trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una
reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del
principio di parità di trattamento tra uomini e donne.
Capo II
DIVIETI
DI DISCRIMINAZIONE
Art. 27.
Divieti
di discriminazione nell'accesso al lavoro
(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma
3)
1. È
vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda
l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra
forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il
settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia
professionale.
2.
La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:
a)
attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di
gravidanza;
b) in
modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o
con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito
professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.
3. Il
divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di
orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per
quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonché all'affiliazione e
all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in
qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione,
e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
4.
Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto
per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la
contrattazione collettiva.
5.
Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di
terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni la prestazione
richiesta dev'essere accompagnata dalle parole «dell'uno o dell'altro sesso»,
fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca
requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
6. Non
costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un determinato
sesso l'assunzione in attività della moda, dell'arte e dello spettacolo,
quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.
Art.
28.
Divieto
di discriminazione retributiva
(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)
1. La
lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le
prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
2. I
sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle
retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.
Art.
29.
Divieti
di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella carriera
(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)
1. È
vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda
l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella
carriera.
Art. 30.
Divieti
di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali
(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)
1.
Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla
pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera
fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni
legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di
lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del
diritto alla pensione di vecchiaia.
2.
Nell'ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni
della legge 15
luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, in deroga
all'articolo 11 della legge stessa.
3. Gli
assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni
per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna
lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti
previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i
genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni
delle pensioni per familiari a carico debbono essere corrisposti al genitore
con il quale il figlio convive.
4. Le
prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria,
per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal Fondo pensioni
per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per
la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della
pensionata.
5. La
disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e
di altri enti pubblici nonché in materia di trattamenti pensionistici
sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per
l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e di trattamenti a carico di
fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di
lavoro esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per
lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
6. Le
prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della
legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse
condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della
lavoratrice.
Art. 31.
Divieti
di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici
(legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1; legge 13 dicembre 1986, n. 874, articoli 1 e 2)
1. La
donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei
vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di
svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2.
L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione
nell'accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi
in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è
necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite,
indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i
Ministri interessati, le organizzazioni sindacali più rappresentative e la
Commissione per la parità tra uomo e donna, fatte salve le specifiche
disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Art. 32.
Divieti
di discriminazione nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali
(decreto
legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1)
1.
Le Forze armate ed il Corpo della guardia di finanza si avvalgono, per
l'espletamento dei propri compiti, di personale maschile e femminile.
Art. 33.
Divieti
di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della
guardia di finanza
(decreto
legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2)
1. Il
reclutamento del personale militare femminile delle Forze armate e del Corpo
della guardia di finanza è effettuato su base volontaria secondo le
disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo quanto previsto per
l'accertamento dell'idoneità al servizio militare del personale femminile dai
decreti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n. 380,
e salve le aliquote d'ingresso eventualmente previste, in via eccezionale,
con il decreto adottato ai sensi della legge medesima.
2. Il
personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole
allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione iniziale degli
istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del
Corpo della guardia di finanza, nonché il personale femminile volontario di
truppa in fase di addestramento e specializzazione iniziale, è posto in
licenza straordinaria per maternità a decorrere dalla presentazione
all'amministrazione della certificazione attestante lo stato di gravidanza,
fino all'inizio del periodo di congedo di maternità di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il
periodo di assenza del servizio trascorso in licenza straordinaria per
maternità non è computato nel limite massimo previsto per le licenze
straordinarie.
3. Il
personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle
scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione
iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei
carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, posto in licenza
straordinaria per maternità ai sensi del comma 2, può chiedere di proseguire
il periodo formativo con esenzione di qualsiasi attività fisica, fino all'inizio
del periodo del congedo di maternità di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
L'accoglimento della domanda è disposto dal Comandante di corpo, in relazione
agli obiettivi didattici da conseguire e previo parere del dirigente del
servizio sanitario dell'istituto di formazione.
4. La
licenza straordinaria per maternità di cui al comma 3 è assimilata ai casi di
estensione del divieto di adibire le donne al lavoro previsti dall'articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151. Al personale femminile, nel predetto periodo di
assenza, è attribuito il trattamento economico di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero,
qualora più favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti
dall'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
5. Il
personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all'Arma dei
carabinieri e alla Guardia di finanza che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non
possa frequentare i corsi previsti dalle relative normative di settore, è
rinviato al primo corso utile successivo e, qualora lo superi con esito
favorevole, assume l'anzianità relativa al corso originario di appartenenza.
Art. 34.
Divieto
di discriminazione nelle carriere militari
(decreto
legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)
1. Lo
stato giuridico del personale militare femminile è disciplinato dalle
disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e
del Corpo della guardia di finanza.
2.
L'avanzamento del personale militare femminile è disciplinato dalle
disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e
del Corpo della guardia di finanza.
3. Le
amministrazioni interessate disciplinano gli specifici ordinamenti dei corsi
presso le accademie, gli istituti e le scuole di formazione in relazione
all'ammissione ai corsi stessi del personale femminile.
Art. 35.
Divieto
di licenziamento per causa di matrimonio
(legge 9
gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)
1. Le
clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e
collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del
rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle
e si hanno per non apposte.
2. Del
pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo
quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente
nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di
matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione
stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono
nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma
3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione
provinciale del lavoro.
5. Al
datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della
lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a
causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa
grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione
del rapporto di lavoro;
b)
cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c)
ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o
di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il
provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2,
3 e 4 è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata
dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della
riammissione in servizio.
7. La
lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal
contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta
causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del
recesso.
8. A tale
scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal
ricevimento dell'invito.
9. Le
disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da
imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi
familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le
clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti
collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e
regolamentari.
Capo III
TUTELA
GIUDIZIARIA
Art. 36.
Legittimazione
processuale
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)
1. Chi
intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni ai sensi
dell'articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione
previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di
conciliazione ai sensi dell'articolo 410
del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche
tramite la consigliera o il consigliere di parità provinciale o regionale
territorialmente competente.
2.
Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, le
consigliere o i consiglieri di parità provinciali e regionali competenti per
territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di
giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al
tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega
della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi
dalla medesima.
Art. 37.
Legittimazione
processuale a tutela di più soggetti
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)
1.
Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di
rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino
l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti
di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo
immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni,
prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono
chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di
rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a
centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un
datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro
mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato
idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere
di parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in
copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del
tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Con
riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le
consigliere o i consiglieri di parità, qualora non ritengano di avvalersi
della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito
negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in
funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale
territorialmente competenti.
3. Il
giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso
presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se richiesto, al
risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della
discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni
accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le rappresentanze
sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti
alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul
piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità regionale
competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella
sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini
della definizione ed attuazione del piano.
4.
Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere
regionale e nazionale di parità possono proporre ricorso in via d'urgenza
davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale
amministrativo regionale territorialmente competenti. Il giudice adito, nei
due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni,
ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato
e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento
del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina
all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento
pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli
effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione
ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle
medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il
decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti,
opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente
competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
5.
L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui al comma
4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione è punita
con le pene di cui all'articolo 650
del codice penale e comporta altresì il pagamento di una somma di 51
euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi
al Fondo di cui all'articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all'articolo
41, comma 1.
Art. 38.
Provvedimento
avverso le discriminazioni
(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 13)
1.
Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le
disposizioni di cui all'articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, su
ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali o
della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale
territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro
del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni
successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga
sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se
richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della
prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto
motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento
illegittimo e la rimozione degli effetti.
2.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza
con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma
seguente.
3. Contro
il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti
opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente
esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del
codice di procedura civile.
4.
L'inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata
nel giudizio di opposizione è punita ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.
5. Ove le
violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano
le norme previste in materia di sospensione dell'atto dall'articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
6. Ferma
restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si
applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla
persona che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale
o dalla consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parità.
Art. 39.
Ricorso
in via d'urgenza
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)
1.
Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di
procedura civile non preclude la concessione dei
provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.
Art.
40.
Onere
della prova
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)
1. Quando
il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere
statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione
di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed
ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la
presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in
ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza
della discriminazione.
Art. 41.
Adempimenti
amministrativi e sanzioni
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 16, comma 1)
1.
Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi
degli articoli 25 e 26, posti in essere da soggetti ai quali siano stati
accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che
abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere
pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla
direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri
nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o
dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se
necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di
recidiva, possono decidere l'esclusione del responsabile per un periodo di
tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni
finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si
applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie
ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione
provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per
l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si
applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli
36, comma 1, e 37, comma 1.
2.
L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e
3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, è punita con l'ammenda da 103 euro a 516
euro.
Capo IV
PROMOZIONE
DELLE PARI OPPORTUNITÀ
Art.
42.
Adozione
e finalità delle azioni positive
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)
1. Le
azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli
che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell'ambito
della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e
realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le
azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
a)
eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale,
nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa
e nei periodi di mobilità;
b)
favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in
particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli
strumenti della formazione;
c)
favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la
qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle
imprenditrici;
d)
superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano
effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con
pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera
ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e)
promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali
e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei
settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f)
favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle
condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e
professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due
sessi.
Art.
43.
Promozione
delle azioni positive
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)
1. Le
azioni positive di cui all'articolo 42 possono essere promosse dal Comitato
di cui all'articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri di parità di cui
all'articolo 12, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello
nazionale, locale e aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro
pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni
sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze
sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui
all'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Art. 44.
Finanziamento
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 2, commi 1, 2, 4 e 5)
1. A
partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori di
lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale accreditati,
le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono
richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di essere
ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi
all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al
programma-obiettivo di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c).
2. Il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all'articolo
8, ammette i progetti di azioni positive al beneficio di cui al comma 1 e,
con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese. L'attuazione dei
progetti di cui al comma 1, deve comunque avere inizio entro due mesi dal
rilascio dell'autorizzazione.
3. I
progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale hanno precedenza
nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.
4.
L'accesso ai fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi o
progetti di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 45, è
subordinato al parere del Comitato di cui all'articolo 8.
Art.
45.
Finanziamento
delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)
1. Al
finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento
dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, autorizzati secondo le
procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed
approvati dal Fondo sociale europeo, è destinata una quota del Fondo di
rotazione istituito dall'articolo 25 della stessa legge, determinata
annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione
economica.
2.
La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo
di cui all'articolo 42, comma 1, viene accertata, entro il 31 marzo dell'anno
in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per
l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato
di cui all'articolo 8.
3. La
quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è ripartita tra le regioni in
misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.
Art. 46.
Rapporto
sulla situazione del personale
(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)
1. Le
aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a
redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale
maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato
di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli,
dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità,
dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei
prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente
corrisposta.
2. Il
rapporto di cui al comma 1 è trasmesso alle rappresentanze sindacali
aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità.
3. Il
rapporto è redatto in conformità alle indicazioni definite nell'ambito delle
specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, con proprio decreto.
4.
Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano
il rapporto, la Direzione regionale del lavoro, previa segnalazione dei
soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro
sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui
all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955,
n. 520. Nei casi più gravi può essere disposta la
sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti
dall'azienda.
Art. 47.
Richieste
di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di
azioni positive
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)
1. Il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri
dell'economia e delle finanze e delle pari opportunità e su indicazione del
Comitato di cui all'articolo 8, determina, con apposito decreto, eventuali
modifiche nelle modalità di presentazione delle richieste di cui all'articolo
45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di erogazione,
nonché nei requisiti di onorabilità che i soggetti richiedenti devono
possedere.
2.
La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la
restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di attuazione
parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui
valutazione è effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al
comma 1.
Art. 48.
Azioni
positive nelle pubbliche amministrazioni
(decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)
1. Ai
sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i
comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di
rappresentanza previsti dall'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ovvero,
in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e
dell'area di interesse, sentito inoltre, in relazione alla sfera operativa
della rispettiva attività, il Comitato di cui all'articolo 10, e la
consigliera o il consigliere nazionale di parità, ovvero il Comitato per le
pari opportunità eventualmente previsto dal contratto collettivo e la
consigliera o il consigliere di parità territorialmente competente,
predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro
ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la
piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e
donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle
donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono
sottorappresentate, ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera d),
favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle
posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due
terzi.
A tale
scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di
analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso
diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile è accompagnata da
un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo
hanno durata triennale. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Resta
fermo quanto disposto dall'articolo 57, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Art. 49.
Azioni
positive nel settore radiotelevisivo
(legge 6
agosto 1990, n. 223, articolo 11)
1. La
concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione
sonora o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad
eliminare condizioni di disparità tra i due sessi in sede di assunzioni,
organizzazione e distribuzione del lavoro, nonché di assegnazione di posti di
responsabilità.
2. I
concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla
situazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle
assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e
della remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari
opportunità fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.
Art. 50.
Misure a
sostegno della flessibilità di orario
1. Le
misure a sostegno della flessibilità di orario, finalizzate a promuovere e
incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a
conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
Capo
V
TUTELA E
SOSTEGNO DELLA MATERNITÀ E PATERNITÀ
Art.
51.
Tutela e
sostegno della maternità e paternità
1. La
tutela ed il sostegno della maternità e paternità è disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
TITOLO II
PARI
OPPORTUNITÀ NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITÀ D'IMPRESA
Capo I
AZIONI
POSITIVE PER L'IMPRENDITORIA FEMMINILE
Art.
52.
Principi
in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)
1. Il
presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza
sostanziale e le pari opportunità tra uomini e donne nell'attività economica
e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:
a)
favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in
forma cooperativa;
b)
promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità
delle donne imprenditrici;
c)
agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente
partecipazione femminile;
d)
favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese
familiari da parte delle donne;
e)
promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente
partecipazione femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori
produttivi.
Art. 53.
Principi
in materia di beneficiari delle azioni positive
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)
1. I
principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si
rivolgono ai seguenti soggetti:
a) le
società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore
al 60 per cento da donne, le società di capitali le cui quote di
partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui
organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne,
nonché le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori
dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del
turismo e dei servizi;
b)
le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di
promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, i
centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di
formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e
manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a
donne.
Art. 54.
Fondo
nazionale per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)
1. A
valere sulle disponibilità del Fondo, istituito con l'articolo 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 215, con
apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle
attività produttive, possono essere concesse ai soggetti indicati
all'articolo 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali
dell'ordinamento anche comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina
vigente:
a) per
impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attività
commerciali e turistiche o di attività nel settore dell'industria,
dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonché per i progetti
aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di
prodotto, tecnologica od organizzativa;
b) per
l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttività,
all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla
ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione
di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché
per lo sviluppo di sistemi di qualità.
2.
Ai soggetti di cui all'articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere
concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attività ivi previste.
Art. 55.
Relazione
al Parlamento
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)
1. Il
Ministro delle attività produttive verifica lo stato di attuazione dei
principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione
annuale al Parlamento.
LIBRO IV
PARI
OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI
TITOLO I
PARI
OPPORTUNITÀ NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
Capo I
ELEZIONE
DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO EUROPEO
Art. 56.
Pari
opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo
(legge 8
aprile 2004, n. 90, articolo 3)
1.
Nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno,
nelle prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti
all'Italia, successive alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile
2004, n. 90, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura
superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le
candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede
all'arrotondamento all'unità prossima.
2. Per i
movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano
rispettato la proporzione di cui al comma 1, l'importo del rimborso per le
spese elettorali di cui alla legge 3 giugno
1999, n. 157, è ridotto, fino ad un massimo della metà, in
misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a
quello massimo consentito. Sono, comunque, inammissibili le liste
circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la
presenza di candidati di entrambi i sessi.
3. La
somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 è erogata ai
partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuto proclamata eletta, ai
sensi dell'articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive
modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i
sessi. Tale somma è ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da
ciascun partito o gruppo politico organizzato.
Art. 57.
Disposizioni
abrogate
1. Sono
abrogate le seguenti disposizioni:
a) la
legge 9 gennaio 1963, n. 7;
b) l'articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;
c) gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;
d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;
e)
l'articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
f) la legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell'articolo 11;
g) la legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6,
12 e 13;
h) l'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
i) il decreto
legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
l) il
decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'articolo 10,
comma 4;
m) il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli
6, comma 2, e 7, comma 1;
n)
l'articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.
Art. 58.
Disposizioni
finanziarie
1.
Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
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