Una nuova
agenda per l’Italia e l’Europa. Promozione del lavoro
e della “buona” occupazione in funzione dello sviluppo
(Editoriale del Segretario Generale
della Confsal 10 dicembre 2012)
Si
riporta, di seguito, il testo dell’editoriale del Segretario Generale della
Confsal che verrà pubblicato sul prossimo numero
dell’organo di stampa della nostra Confederazione: “Confsal, Società, Cultura, Lavoro”:
Una nuova agenda per l’Italia e l’Europa
PROMOZIONE DEL LAVORO E DELLA “BUONA” OCCUPAZIONE
IN FUNZIONE DELLO SVILUPPO
di Marco Paolo Nigi
Il
Consiglio Generale della Confsal di ottobre 2012 ha
riaffermato la centralità del lavoro quale primario valore sociale e quale
fondamentale fattore per la competitività di impresa e di sistema e per
l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e, quindi, per la crescita
economica.
La
Confsal, valutando la gravità del trend
negativo dell’economia italiana in termini occupazionali e retributivi e
conseguentemente di domanda interna, ha individuato nella promozione
del lavoro la via obbligata per la ripresa della crescita economica.
L’ISTAT
e l’EUROSTAT, attraverso la rilevazione e la
pubblicazione dei dati sul lavoro, hanno certificato che la vera, grande questione italiana ed europea è costituita dalla
disoccupazione e dalla precarizzazione del rapporto
di lavoro.
In
Italia, secondo l’ISTAT, i disoccupati ammontano a 2,87 milioni di unità, pari all’11,1%, valore record dell’ultimo
ventennio. In un anno la disoccupazione è aumentata del 2,3%, passando dall’8,8% del 2011 all’11,1% del 2012.
La
disoccupazione giovanile si è attestata al 36, 5%, un valore mai raggiunto in
regime di moneta unica europea, aumentando in un anno del 6%.
I
lavoratori precari, pure in aumento, raggiungono 2,8 milioni di
unità e i contratti part-time sono 3,8 milioni.
In
Eurozona si contano circa 19 milioni di disoccupati, pari
all’11,7%, il tasso più alto dall’introduzione dell’euro, e i posti di lavoro
in meno, in un solo anno, ammontano a circa 2 milioni.
La
crisi del debito pubblico, le “forti” politiche di austerità
realizzate in tempi brevi e la recessione globale ed europea hanno portato ad
una disastrosa situazione economica e sociale per gli alti livelli di
disoccupazione e di precarizzazione del rapporto di
lavoro.
In
un contesto socio-economico caratterizzato da una
duratura stasi dell’occupazione complessiva e da un aumento di oltre mezzo
milione di occupati over 55, anche per effetto delle riforme previdenziali e
pensionistiche intervenute negli ultimi anni, e da tagli lineari agli organici delle
pubbliche amministrazioni uniti al blocco del turn-over del pubblico impiego, è consequenziale aspettarsi un
significativo aumento della disoccupazione giovanile e femminile. C’è anche da
evidenziare che l’attuazione della recente riforma “Fornero”
delle pensioni non ha ancora prodotto i suoi effetti, che da questo punto di
vista non potranno essere positivi.
Pertanto,
se l’economia non cresce, e con essa la domanda di
lavoro, per assorbire l’aumento dell’offerta di lavoro degli over 55, è inevitabile un ulteriore
aumento della disoccupazione dei giovani e delle donne.
La
recessione costringe le imprese a ridurre il personale in eccesso, a usare gli ammortizzatori, a ricorrere al lavoro temporaneo
e alla riduzione dell’orario di lavoro, anche trasformando i contratti full-time in contratti part-time. Ed è
così che aumenta il precariato e il part-time
involontario.
E tutto questo è riscontrabile in un
momento in cui l’attuazione della riforma “Fornero”
del mercato del lavoro vive tutte le sue contraddizioni e criticità, con
particolare riferimento ad alcuni importanti istituti normativi. L’aumento del
costo della flessibilità “buona”, ovvero dei contratti a tempo determinato
garantiti dalle leggi e dai contratti collettivi, ha prodotto effetti negativi sull’occupazione,
rendendo la conferma più difficoltosa. Il provvedimento, peraltro, non sembra
aver favorito l’occupazione “buona” e stabile. L’istituto dell’apprendistato,
quale contratto di ingresso dei giovani al lavoro,
rappresenta, al momento, circa il 4% delle assunzioni ed è utilizzato soltanto
quello professionalizzante. Infatti, le imprese non utilizzano l’apprendistato
di primo livello e, in molti casi, non possono ricorrere a quello di alta formazione e ricerca, anche per effetto dei gravi
ritardi della prevista normazione da parte delle Regioni.
Comunque, al di là delle
recenti norme del diritto del lavoro, si rende indispensabile puntare
decisamente all’occupabilità dei giovani e
conseguentemente operare sull’impegnativo fronte dei servizi a sostegno delle
competenze e delle professionalità spendibili in linea con le richieste del
mondo della produzione, al fine di facilitare l’incontro della domanda e
dell’offerta di lavoro.
In
merito alla crescita economica e occupazionale e alla promozione
del lavoro il Governo “Monti” con la sua discutibile agenda non ha
registrato risultati incoraggianti e ha disatteso il suo stesso programma.
L’azione
governativa, infatti, spinta dall’emergenza finanziaria e fortemente orientata
al risanamento dei conti pubblici, non ha salvaguardato il lavoro e non ha
sostenuto l’impresa “virtuosa” e la “buona” occupazione.
Tutto
questo è confermato dalla comparazione dei dati ISTAT del 2011 e del 2012 su
occupazione e crescita.
E’
evidente l’insufficienza delle riforme per lo sviluppo e sono verificabili i
notevoli ritardi nell’attuazione delle relative leggi.
E’
soprattutto grave il ritardo del Governo e del Parlamento in merito
all’approvazione della “delega fiscale”, strumento fondamentale per rilanciare
il lavoro.
Pertanto,
l’agenda per coniugare rigore e crescita non può essere quella “montiana” dell’austerità che ha stressato l’economia.
L’agenda
per l’Italia, invece, dovrà:
·
razionalizzare la spesa pubblica, abbandonando il metodo dei tagli lineari ed
eliminando gli sprechi;
·
affermare la priorità di alcuni capitoli di spesa: istruzione, ricerca,
sanità, sicurezza e giustizia;
·
dismettere funzioni
pubbliche improprie e non necessarie;
·
ridurre il costo della politica;
·
tenere sotto controllo il debito pubblico;
·
ridurre la pressione fiscale, utilizzando tutte le risorse derivanti da
un serio contrasto all’evasione, all’elusione e all’erosione fiscale;
·
operare una efficace lotta al lavoro sommerso, eliminando o almeno
riducendo drasticamente l’evasione contributiva;
·
stimolare le attività private con l’ampliamento reale della concorrenza.
L’agenda
dell’Eurozona dovrà recuperare la centralità delle politiche per la crescita
economica, intervenendo su:
Ø occupazione e inclusione sociale;
Ø servizi pubblici e energia;
Ø credito e fisco;
Ø investimenti pubblici in cultura e ricerca.
In
conclusione, se si vuole effettivamente dare una prospettiva di sviluppo
all’Italia e all’Eurozona si deve liberare l’economia dalla “camicia di forza” della eccessiva austerità e portare finalmente il lavoro al
centro dell’impresa, dell’economia e della società italiana ed europea.